lunedì 21 settembre 2009

VIRTUAL SOTHOTH

Mi auguro che quello che sto per raccontarvi sia a tutti gli effetti il delirio di un uomo in preda a strane febbri. Che gli eventi ai quali il mio avatar ha assistito, siano solamente il risultato di un’alterazione improvvisa delle droghe in circolo. Che il mondo dentro al quale mi sono proiettato non sia altro che la burla di un server criptato.
Le mie recenti letture potrebbero aver condizionato le mie percezioni. Creature dell’incubo, abbietti abitatori delle remote regioni del cosmo, divinità contorte degli abissi. Le ho credute favole per bambini. Fantasie distorte di menti tenebrose, venute alla luce all’inizio di un secolo buio. Il sogno che codifica la realtà. L’insensatezza di tutto.
Ma ai confini di questo universo fittizio, oltre i corridoi ambrati in cui il sistema binario si comprime, succedono cose strane. Laggiù esistono degli spazi immensi, esuli da qualsiasi legge elettronica. Spesso non sono compatibili con le nostre rappresentazioni, ma a volte puoi incontrare un “match”, un incastro perfetto che risucchia una parte di te, lasciandoti spiare oltre il velo.
Nei grattacieli informatici è possibile recuperare solo qualche brandello di conoscenza, testimonianze anonime di alcune diramazioni esistenziali, la maggior parte delle quali ha solo creduto di innescare un “match”. Il davolin ha fatto il resto. Quando quella roba si amalgama al tuo avatar, puoi vedere dio e sua sorella, e intrattenerti con loro a giocare a biliardo. Ho visto proiezioni rimbalzare per anni dentro un server di recupero, mentre i loro “host” vegetavano nelle cliniche fuori città.
Ma qualcuno si è davvero spinto oltre il velo, e ho paura che anch’io abbia fatto lo stesso.
Il distacco è stato qualcosa di doloroso. Nessuna codificazione percettiva pseudofisica, non se mi spiego… Il dolore non era la riproduzione di un evento nefasto, come succede di solito quando il tuo avatar inciampa. Ho avvertito una specie pulsione neurale all’altezza della spina dorsale, e un vuoto che si sprigionava da un punto ben definito dietro la schiena. Ma poi il dolore si è mosso fuori dal corpo, concentrandosi in una zona circoscritta a un metro e mezzo sopra di me. Ciononostante continuavo a percepirlo, ed era lancinante.
Poi le tenebre sono esplose nella mia testa. Era la morte come me la sono immaginata per anni. Una condizione di assenza assoluta; il realizzare unico della propria percezione. La totale disgregazione dello spazio-tempo. Una perfetta condizione di standby.
Non posso quantificare il tempo che ho passato in tale stato. So solo che ad un certo punto sono comparsi i globi di luce, una serie di sfere iridescenti che mutavano continuamente di colore e dimensione, nascendo e scomparendo.
Il ronzio delle sfere era simile ad un infernale didgeridoo, vibrante, alieno.
Non riuscivo a smettere di secernere bava dalla bocca, come una bestia agonizzante.
Ci sono voluti giorni perché riacquistassi il dono della parola. Ho pianto per settimane, risvegliandomi da incubi indescrivibili, madido di sudore, in preda ad un fredda paranoia.
Col tempo ho ripreso coraggio, ho tentato di razionalizzare l’evento, di convincermi che in fin dei conti non era possibile distinguere una percezione dalla realtà quando eri connesso, che per quanto assurdo avevo creato tutto io, con il mio cervello ormai devastato dalle sinte-droghe; mi ero quasi convinto, dannazione, quando lui suonò alla mia porta…

Il suo trench aveva il colore del lattice appena sgorgato, portava con disinvoltura un taqiyah bianco decorato con piccoli cerchi dorati: il suo sguardo era nascosto da occhiali circolari dalle lenti violacee senza stecche, ma la sua espressione tradiva un odio ed una violenza che rasentava la follia. Non avrei mai voluto farlo entrare nella mia tana, ma non riuscii ad impedirglielo. Non so spiegarvi il magnetismo che emanava, le vertigini che mi assalirono quando si tolse gli occhiali, fissandomi negli occhi senza battere ciglio.
Fu allora che sentii per la prima volta la sua voce. Ancora oggi non riesco a dimenticarla.
“Posso entrare?” Domandò, con un tono ne che non ammetteva alcun rifiuto.
“Chi…io… non la conosco…” balbettai, in preda ad un terrore misto a rispetto.
“Conoscere… usate sempre le parole che non comprendete…”
“Cosa vuole… da me?”
“I suoi ricordi.” mormorò, accennando un sorriso.
“I miei…ricordi?”
Non ho memoria di cosa accadde dopo. L’ultima immagine che riesco a rievocare sono le sue mani orrende che mi afferravano per la gola, le sue dita senza unghie, la sua voce che chiamava qualcuno… o qualcosa…
Mi risvegliai il giorno seguente, il collo mi doleva, ma nessun livido macchiava la mia pelle. L’appartamento era stato messo a soqquadro, il mio deck era stato portato via, per un attimo mi sfiorò l’assurda idea di denunciare l’accaduto alla psicosquadra…
Mi sarei guadagnato un mese di riallineamento neurale a mie spese, non mi avrebbero mai creduto, e gli ultimi brandelli di umanità che mi erano rimasti si sarebbero dissolti.
Mi alzai a fatica, frugai in quel caos in cerca della mia derringer intelligente, ma trovai solo una manciata di chip di credito e un barattolo mezzo vuoto di metaxanax.
Ingoiai le pillole ed indossai il cappotto. Era marzo, ma la neve copriva ancora la metropoli, nascondendo la sporcizia sotto un manto immobile.
Non sapevo dove fuggire, ma quel posto non mi sembrava più sicuro, continuai a chiedermi perché non mi avesse ucciso, mentre correvo nei vicoli imbiancati, mentre scappavo da un terrore che non aveva nome né forma.
Chi era quell’uomo, cosa avevo visto nel cyberspazio, perché voleva i miei ricordi?
Entrai in un drugshop di ultima generazione, sulla 24° via.
Il tanfo di spezie bruciate e di fumo invase le mie narici, mentre il proprietario mi squadrò con disprezzo, scambiando la mia paura per una semplice crisi di astinenza.
“Sei in paranoia, chombatta? Hai un aspetto di merda…”
Uscì dal bancone con lentezza, il suo accento era il frutto di almeno tre culture, così come la sua pelle ed il suo aspetto. Mi indicò un piccolo tavolo rotondo da fumo, mi stesi sul divano puzzolente ed attesi il menù. Più di centocinquanta droghe provenienti da tutto il mondo apparvero nello schermo tattile, con le controindicazioni scritte in font illeggibili.
“Caraqua? Sintecrack? Emostamina? Abbiamo in prova un taglio di Gandhi divino…”
“Siete connessi? E’ possibile connettersi con questo terminale?” dissi, indicando lo schermo incassato nel tavolino da fumo.
“Che cazzo ne so, le odio queste macchine di merda…” rispose
“Mi porti una tisana di Spitznick… bella calda…”
“Da mangiare niente?” non sembrava affatto una domanda…
“Una fetta di torta ESP…senza panna modificata, per favore…”
Non aggiunse altro, lasciandomi solo, davanti al terminale.
Presi un lungo respiro prima di crackare il menù con un movimento delle dita sul touch screen: lo schermo si tinse di nero, rivelando il sistema operativo che gestiva il menù. Ogni deck era connesso alla macronet, una rete di controllo delle multinazionali che monitorava istante per istante ogni comando impartito alle macchine commerciali, “finalmente sicuri” recitava lo spot della sua presentazione.
Avevo poco tempo, mi avrebbero scoperto nel giro di alcuni minuti, ma ero sicuro che mi sarebbero bastati…e forse sarei riuscito anche a “pagare” il conto crakkando il menù.
Se un “disconnesso” mi avesse visto mentre mi scagliavo nella rete esterna sfregando le mie dita sullo schermo tattile mi avrebbe scambiato per un autistico o per un folle, ma il locale era deserto, ed il proprietario era ancora nel retro a prepararmi la tisana.
Trovai l’accesso alla Wayback Machine in pochi secondi, rievocai l’immagine di memoria della mia ultima corsa, incrociando il mio IP con la data della mia esperienza virtuale e le coordinate della mappa interna. Interi terabyte di memoria fluttuavano nello schermo, in attesa di essere compilate. Un brivido mi assalì quando il proprietario sbucò all’improvviso dal retrobottega, con un vassoio lucente in mano. Due rapidi gesti sullo schermo, il menù riapparve all’istante, coprendo il sito pirata con il suo manto di bit.
“Ecco qua…fanno 28 eurodollari… pagamento anticipato, carta o chip?”
“Ho già pagato con il BAMA, mentre era di lá… i prezzi erano scritti nel menù…”
Il proprietario mi squadrò per alcuni secondi, andò in silenzio dietro il bancone e ci mise quasi un minuto per ricordarsi come controllare il pagamento elettronico dal suo server.
“Qui c’è scritto 280 eurodollari…” disse “grazie della mancia…”
Sudai freddo… uno zero di troppo, maledetta fretta.
“É che vorrei… fare un po’ di scorta di metaxanax…”
“Quella merda è illegale… io non vendo robaccia importata dall’Eurasia…” mentì.
L’embargo durava da più di dieci anni, ormai, ma tutti erano consapevoli che il mercato clandestino non solo non ne aveva risentito, ma anzi, aveva solo fatto lievitare i prezzi.
Non dissi niente, lasciai che i 280 eurodollari parlassero per me.
“Però…” concluse “se proprio ti va di scassarti il cervello…”
Tornò nel retrobottega, avevo poco tempo, presto l’accesso illegale sarebbe stato processato dai robot corporativi ed identificato come un attacco terroristico…
Ridussi di nuovo ad icona il menù con un rapido gesto delle dita, il servizio di recupero della rete mi aspettava, come un cane fedele e infallibile… RUN… YES… YES…
Mi ritrovai nel mio appartamento lordo di sangue.
Lessi per caso sul quotifax cosa era successo nel drugshop. Tuttora non ricordo nulla delle ore successive a quei tre comandi…
L’unità antiterrorismo entrò nel locale alle ore 23:07, pochi minuti dopo la mia fuga, evidentemente: trovarono il proprietario del locale in sedici zone differenti…

Da allora qualcosa vive in me, qualcosa di orrendo… di inconcepibile…
Non si tratta di allucinazioni o di un virus di ultima generazione!
Qualcosa di vivo si è impossessato della mia mente, del mio corpo… della mia anima!
Esistono cose che è meglio dimenticare, per sempre, una volta per tutte!
Stai lontano dalla rete! Non ti connettere! Una parte di lui vive ancora in quel Server!
Ormai riesco a comprendere quel ronzio, è una voce, un linguaggio, sta cercando un varco per la nostra realtà! Non sopporto più quel nome che ormai riecheggia nella mia testa, non posso vivere con il terrore che l’uomo in bianco torni a trovarmi…
Mi stanno usando… io sono la chiave, ormai.
Non posso permettergli di uscire dalla mia prigione…
NO! Hanno bussato alla porta… è lui…
La finestra… si… la finestra…Un volo e poi il nulla…
Ti porterò con me, maledetto… Non tornerai a vivere!
NON APRIRAI IL CANCELLO YOG SOTHOTH!

[End of file... SEND on MARCH 29 2022]

Grezzo Illusivo 2008

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