sabato 13 febbraio 2010

SEBASTIAN CLAW: La Fine



Il caffè è più forte del solito. La notte è stata lunga, ma ha dato i suoi frutti. Tornerò alla baia nel pomeriggio, per finire il lavoro.
La Spirale era chiamata. Il più influente ed aberrante agglomerato di individui che abbia mai messo piede a Providence, o per quello che ne so, in tutto lo stato. Provo ancora ribrezzo nel ricordare le cose che si muovevano sopra la spiaggia, mentre quel gruppo di scellerati si riuniva dentro le grotte, a salmodiare le parabole di un libro perverso. Ne succedono di cose strane a soli venti chilometri dalla città.
La notte nascondeva l’orrore. Le creature coprivano le stelle coi loro corpi gibbosi, assurda progenie di insetti e corvi, ed io non potevo continuare ad ingannare la mia sanità mentale. Ho alzato gli occhi quel tanto per non dormire più una sola notte.
Dopo aver rovesciato sulla sabbia i resti di una misera cena a base di tonno in scatola e bourbon, mi sono mosso velocemente oltre gli scogli. Dalla caverna fuoriusciva una luce malata, la stessa che vidi quella notte a casa del professore. Mi sembrano passati secoli.
Sapevo cosa stava succedendo là dentro. Sapevo del tentativo di traduzione di quel testo cinese. La Spirale era piena di musi gialli, ma non erano loro a comandare. C’era Sunshade, l’uomo con la frusta. Lo intravidi alla prima delle adunanze che si tenevano in città. Quasi certamente era lui la mente dietro tutta la combriccola. Poi c’era Amelia, sacerdotessa del senza nome. Si, proprio lui. Cosa credete che ci facessero più di cento illustri personaggi del New England in una grotta a venti chilometri da Providence, insieme a una mandria di cinesi e a dei corvinsetti giganti? Chiamavano lui, che non si potrebbe nominare. Hastur…
Il fascio di dinamite era avvolto nei giornali. Avevo paura che l’aria salmastra potesse compromettere l’effetto dell’esplosivo. L’entrata della grotta non era molto ampia. Il piano era quello di bloccarli là dentro; sepolti vivi. Neanche i loro amici corvi sarebbero riusciti a tirarli fuori, e senza di loro l’evocazione non sarebbe stata mai completa.
Ho piazzato il pacchetto un paio di metri oltre la soglia. Poi mi sono allontano quel tanto da rimanere incolume. Un colpo, un solo dannatissimo colpo. La mano era ferma, nonostante il whisky che mi girava nelle vene. Il dito sul grilletto. Un bacio di buon augurio alla canna del mio fedele shotgun., e poi… bang!
Devo tornare a finire il lavoro. Ve l’ho già detto. Devo accertarmi che non siano riusciti a scappare. Questo è il mio ultimo lavoro, e voglio che sia fatto bene.
Si, avete capito bene. Queste sono le ultime righe di Randy Coleman, ovvero Sebastian Claw. Non tornerò in questo maledetto monolocale, a passare le notti con gli occhi sbarrati, la boccia di whisky in una mano ed il fucile a canne mozze nell’altra. Basta.
È l’ora di farla finita.
Vi lascio alle follie di questo mondo. Ho cercato di ostacolarle, per quanto potevo. Ho venduto cara la pelle. Ho fatto assaggiare un po’ di sano piombo.
Adesso però voglio dormire.
Un ultima cosa…
…poi la spiaggia, il mare, l’abisso.
Addio.

OUTRO

È stato rinvenuto un corpo nella baia. Era il mio...
...o almeno così hanno creduto.
Che lo credano pure. La polizia, i miei vicini, le creature assurde che vagano libere per il New England, anche i lettori di questo folle diario. A me sta bene così. Io non mi lamento. Galleggio nell’acqua sporca nel mio
impermeabile grigio, ma tengo lo sguardo puntato verso il fondo... casomai qualcuno o qualcosa decidesse di
salire in superficie.
Ho sempre il mio fucile a canne mozze. Lo tengo stretto nella mano destra. Il rigor mortis può fare anche questo. Non ci credete? Allora vi svelerò un piccolo segreto: non è morto ciò che in eterno può attendere, e col passare di strani eoni, anche la morte muore. E questo vale per tutti, anche per i cacciatori di incubi come me.
Il mio nome è Sebastian Claw. Sono un cadavere che galleggia nella baia di Providance, e ho ancora del piombo da commissionare. Lo devo al professore, al povero Melvin, al vecchio Bob, e soprattutto a Randy Coleman.

Jonathan Macini - Da un idea del 1995 – Riveduto e corretto nel 2008

lunedì 1 febbraio 2010

SEBASTIAN CLAW: Bob

Le fronde degli alberi, i rumori della città, una quarantaquattro magnum sulla scrivania accanto a un letto d’ospedale, un vecchio che farnetica sotto le coperte, il fetore della follia che aleggia nella stanza. Immagini di una scenografia ammorbata, l’overture che annuncia l’entrata in scena di creature idiote, dimoranti negli abissi del cosmo.
«Bob, ti ho portato quello che mi hai chiesto…»
Per un istante lo sguardo del vecchio divenne lucido. Guardò prima me, poi la cosa sulla scrivania, un oggetto di freddo metallo che risucchiava la luce.
«Grazie Sebastian. Grazie!»
Uscito dalla clinica accesi una sigaretta…
… e udii lo sparo.