martedì 27 ottobre 2009

SEBASTIAN CLAW: Melvin



Melvin era una zecca, come si dice in gergo. Tu lo pagavi e lui ti dava le informazioni, succhiate direttamente dalle profondità più recondite ed aberranti della razza umana. Niente di strano, se si stesse parlando di informazioni normali. Ma Melvin non era normale… Chiunque avesse assistito a metà della roba che è passata davanti ai suoi occhi, si sarebbe fatto un tuffo di diversi metri, tanto per non pensarci più. Capite quello che vi voglio dire…

Sono due mesi che viaggio tra Providence ed Arkham. L’aria di Boston mi ha già cambiato. Le cose sono e le cose restano. Chi non ha più il velo davanti agli occhi è bene si cerchi un nuovo pretesto per andare avanti. Io ce l’ho… un bel po’ di piombo da commissionare. Il lavoro è solo all’inizio…
Melvin, vi dicevo. Un vecchio pazzo con la gobba, la bava alla bocca e la cute piena di chiazze glabre. Si aggirava nel parco di Arkham, proprio dietro la Miskatonic, insieme a un vecchio cagnolino cieco, un incrocio poco piacevole che non la smetteva mai di abbaiare. Lui diceva che gli teneva lontane le creature… Idiota!


L’ho conosciuto quasi per caso circa un mese fa. Uscivo dalla biblioteca dell’università e me lo sono ritrovato tra i piedi. Aveva adocchiato i libri che tenevo sottobraccio. “Se hai bisogno di qualche informazione, chiedi pure… Faccio dei buoni prezzi…” mi disse. Poi il cagnolino incominciò ad abbaiare, e lui se ne tornò verso il parco, con uno strano ghigno sul volto. Quella notte tornai a Providence, e continuai a pensare a quel vecchio. Mi ci volle mezza boccia di bourbon per riuscire a prendere sonno, e non fu facile trovarla. Il giorno dopo, con la testa appesantita dall’alcol ed in bocca un sapore non piacevole, iniziai a consultare i due testi per i quali avevo viaggiato più di cento miglia: la pubblicazione Bridewell di Culti Innominabili e un libro di poesie di Justin Geoffrey intitolato Il Popolo del Monolito. Il professor Richardson ne accennava nei suoi appunti. No, non quelli di casa sua. Non ci sono più ritornato dopo quella notte, ma ho fatto un salto nel suo ufficio, in città. A parte un paio di note sul retro dell’agenda, non ho trovato nulla che riguardasse il mistero della sua scomparsa. Mi faccio ridere, ancora non riesco a chiamare tutta questa follia per il suo nome… eppure che nome potrei mai dargli? Occultismo? Mitologia? Potrei parlare semplicemente di deliri, ecco cosa… No, non sono curioso. Voglio solo riuscire a dormire la notte, senza l’aiuto del vecchio whisky.

Ho letto i due libri ma non ho approfondito. La maggior parte di quella roba non riesco neanche a capirla. Il resto invece mi attanaglia le budella, e mi fa venire sete. Ma stavo cercando una traccia, un segno. Non l’ho trovato, così li ho riportati ad Arkham. È stato allora che ho rivisto Melvin, ma questa volta sono stato io ad avvicinarmi a lui. Appena uscito dalla Miskatonic ho sentito l’inconfondibile verso di quel brutto meticcio. Mi sono avvicinato agli alti platani che delimitavano l’inizio del parco. L’ho intravisto su una panchina, curvo ed immobile. Sembrava stesse dormendo, così mi sono avvicinato lentamente, e lui si è rivolto a me senza neanche voltarsi. La sua voce era vecchia e gracchiante. “Melvin fa degli ottimi prezzi… se si vogliono conoscere gli abomini della città…”
“Di che diavolo stai parlando?”


È iniziato così, ed è andato avanti per più di un mese. La strage alla baia di Arkham, il mattatoio alla fattoria Renfield, l’omicidio Portman. Prelibati sonniferi per il sottoscritto. Non sto a raccontarvi le nefandezze perpetuate da queste creature (non posso certo chiamarli uomini!). Ne hanno parlato i giornali e hanno parlato anche di me. Ovviamente non sanno chi io sia, né che relazione ci sia tra le tre carneficine e l’efferata morte di un barbone di Arkham, trovato ieri notte appeso ad un cancello del parco. Le sue viscere, unite alle cervella del suo cagnolino, formavano un complicato disegno ai suoi piedi. Nessuno conosce il senso di tutte queste morti. O almeno me lo auguro.

Non ho paura della polizia. Se mi dovessero beccare mi metterei lo shotgun in bocca senza esitare un attimo. Vi posso assicurare che tutta quella gente si meritava molto di più di una morte veloce come quella che ho riserbato loro. No, ho paura di altro, degl’incubi tentacolari che stritolano, privandoti anche del tempo per toglierti la vita. Una follia eterna, accompagnata da un imponderabile suono di flauti…
Per fortuna Providence sembra ancora abbastanza tranquilla… se ci si tiene lontani dalla casa del professore.


Povero Melvin. I suoi prezzi erano davvero buoni. Ho messo da parte del buon piombo per vendicarlo. Ma ho bisogno di una nuova zecca adesso. Domani parto per Boston. Ho un contatto. Ve ne parlerò…
Addio Melvin. Addio cagnolino. Quasi quasi vi invidio…

Jonathan Macini - 1995

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