lunedì 19 ottobre 2009

SEBASTIAN CLAW: La nascita


Gli Antichi furono, gli Antichi sono, e gli Antichi saranno. Dalle stelle Oscure Essi vennero prima che l’Uomo nascesse, invisibili e tremendi. Essi discesero sulla Terra primordiale. Sotto gli oceani Essi attesero per lunghe epoche, fino a che i mari eruttarono la terraferma, ed Essi brulicarono in moltitudini e la tenebra regnò sulla Terra. Ai Poli gelidi Essi eressero possenti città, e in luoghi elevati i templi di Coloro che la natura non conosce e che gli Dei hanno maledetto. E la stirpe degli Antichi ricopri la Terra, e i Loro figli perdurarono nei secoli. Gli Shantak di Leng sono l’opera delle Loro mani, i Ghast che dimorano nelle cripte primordiali di Zin li riconoscono come loro Signori. Essi generarono i Na-hag e i Magri che cavalcano la Notte; il Grande Cthulhu e Loro fratello, gli Shoggoth Loro schiavi. I Dhole rendono Loro omaggio nella valle tenebrosa di Pnoth e i Gug cantano le Loro lodi sotto le vette dell’antica Throk. Essi hanno camminato tra le stelle ed Essi hanno camminato sulla Terra. La Città di Irem nel grande deserto Li ha conosciuti; Leng nel Deserto Gelato ha visto il Loro passaggio, la cittadella eterna sulle cime velate da nubi di Kadath la sconosciuta porta il Loro segno.
Pervicacemente gli Antichi seguirono le vie della tenebra e le Loro bestemmie erano grandi sulla Terra; tutto il creato s’inchinava sotto la Loro potenza e Li riconosceva per la Loro malvagità. E i Sovrani Primigeni aprirono gli occhi e videro le abominazioni di Coloro che devastavano la Terra. Nella Loro ira Essi levarono la mano contro gli Antichi, arrestandoLi nella Loro iniquità e scacciandoLi dalla Terra nel Vuoto oltre i piani dove regna il caos e non dimora la forma. E i Sovrani Primigeni posero il Loro sigillo sulla Porta e il potere degli Antichi non prevalse contro la sua potenza. L’orrendo Cthulhu si levò allora dal profondo e si scagliò con immensa furia contro i Guardiani della Terra. Ed Essi legarono i suoi artigli velenosi con potenti incantesimi e lo rinchiusero nella Città di R’lyeh dove, sotto le onde, egli dormirà il sonno della morte sino alla fine dell’Eone. Oltre la Porta dimorano ora gli Antichi; non negli spazi noti agli uomini, bensí negli angoli tra essi. Al di fuori del piano della Terra Essi indugiarono e sempre attendono il tempo del Loro ritorno; perché la Terra Li ha conosciuti e Li conoscerà nel tempo a venire. E gli Antichi tengono l’immondo e informe Azathoth in conto di Loro Maestro e dimorano con Lui nella caverna al centro di tutto l’infinito, dove egli morde famelico il caos supremo tra il folle rullo di tamburi nascosti, il pigolio stonato di orrendi flauti e il grido incessante di dèi ciechi e idioti che eternamente vagano e gesticolano. L’anima di Azathoth dimora in Yog-Sothoth ed egli chiamerà gli Antichi quando le stelle segneranno il tempo della Loro venuta; perché Yog-Sothoth è la Porta attraverso la quale Quelli del Vuoto rientreranno. Yog-Sothoth conosce i labirinti del tempo, perché tutto il tempo è per Lui una sola cosa. Egli sa da dove vennero gli Antichi nel tempo passato e da dove verranno ancora quando il cielo sarà completo. Dopo il giorno viene la notte; il giorno dell’uomo passerà, ed Essi regneranno dove regnavano un tempo. Come un’abominazione voi Li conoscerete, e la Loro malvagità contaminerà la Terra.

Pioggia, sempre pioggia. Questo maledetto cielo di febbraio non sa dirmi altro. Il drappo su un orrenda verità è stato calato, e le pesanti nuvole che ricoprono questa assurda città ce lo ricordano. New York non funziona.
La grande mela è come sorda agli stridenti richiami dell’ombra; troppo impegnata ad ingrandirsi e a fagocitare se stessa, troppo corrotta ed incurante di tutto ciò che non è fine a se stessa. Ho affittato questo monolocale a Providence, nella speranza di ritrovare il mio vecchio compagno di collage, il prof. Richardson. Le ultime notizie riguardo a lui risalgono a una settimana fa, il giorno in cui mi è stata recapitata la lettera che conteneva il manoscritto qui sopra riportato. Il professore era impegnato in studi bizzarri di cui mi aveva accennato alcuni dettagli. Poi è arrivata la lettera, e quell’articolo in terza pagina del Washington Post. Il prof. Richardson era scomparso!!!

Non so se questa sia verità o follia, ma da ieri notte non riesco più a credere a niente. Sono andato a casa del professore, una villetta isolata poco fuori Providence, e dopo aver fermato l’auto nel piazzale davanti all’entrata e aver spento i fari, mi sono accorto di quella luce. Non era un riflesso, e nessuna sorgente luminosa conosciuta poteva riprodurre quel colore, tra il verde, l’azzurro ed il nero. Usciva dalle imposte sbarrate della villetta, un ritmo pulsante che nella mia mente sembrava accompagnato da tamburi e da flauti. Ho atteso minuti che sembravano ore, ma non sono riuscito ad uscire dall’auto, bloccato al sedile da un terrore alieno. Adesso sono qua, seduto davanti allo scrittoio del monolocale, privato di una notte di sonno, ed osservo il drappo grigio del cielo chiedendomi se la follia non sia davvero il migliore dei rimedi.

Guardo mestamente indietro, eppure non mi vergogno dei miei rimpianti. Sarebbe stato bello conoscere una brava donna, magari avere dei figli. Ho scelto la via più facile, rapito dal miraggio di una brillante carriera lavorativa. Niente di meglio che di fare l’avvocato nella città che ricopre d’oro gli avvocati. Adesso tutto ha molto meno senso. Adesso tutto sfuma tra le ombre tentacolari di una notte imperitura. Niente è più come prima, e non lo sarò neanche io.

Randy Coleman non è più il mio nome, così come New York non è più la mia città. Forse il mio destino è già segnato, ma cercherò con tutte le mie forze di rimandarlo al domani più lontano, insieme all’avvento di questo perverso disegno. Il mio nome è Sebastian Claw. Ho solo un fucile a canne mozze per amico, e per adesso mi basta. Providence è la mia nuova città, l’inizio di una nuova vita. Una vita che ha già un finale, ed appartiene ad abissi aberranti, tane di assurde creature. Ma prima della fine qualcuna di queste assaggerà il mio piombo. Lo devo al professore e lo devo a me stesso.

Jonathan Macini 2008

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