mercoledì 18 novembre 2009

SEBASTIAN CLAW: Discesa verso l'oblio



Dall’unica finestra di questo dannato monolocale, entra la promessa di un’altra notte bastarda. Il cielo rimane grigio, incolore, ma la dilatazione del giorno è fin troppo percepibile. Siamo alle ore che precedono le ombre, ma non accenderò la lampada della scrivania. Rimarrò sul mio letto, immobile, ad osservare il piombo nel cielo scurirsi, diventare antracite, finché le tenebre non m’inghiottiranno. È tutto quello che desidero per stasera…

La bottiglia è già arrivata a metà. Il corpo sprofonda dolcemente nel materasso troppo soffice, ma è una bella sensazione. Mi fa sentire coccolato, protetto, come un arnese nella sua confezione. Lo shotgun giace al mio fianco. È carico. Ormai non riesco neanche ad andare in bagno senza di lui. Ne accarezzo il grilletto. Un colpo e via, tutto finito. Il sipario si chiude. Che se la vedi il mondo contro quelle schifezze. Io ho già dato tutto quello che avevo…

Un lungo sorso con la testa piegata all’indietro, chiudendo gli occhi, il liquido che mi scorre attraverso i denti, lo sento corrodermi, nel fisico e nella mente. Scardina gli incubi che infettano la ragione, addobbandoli di assurdi festoni. Un rituale scaramantico che mi trascina verso il basso. Riapro gli occhi. La stanza è sempre più buia. I rumori che vengono da fuori sono l’inutile canzone di una civiltà senza speranza, il canto funebre dei parassiti di un pianeta sul quale i Grandi Antichi torneranno presto a regnare. Le auto in corsa, il suono dei clacson, il trambusto nei cantieri di periferia, la stazione ferroviaria. Sintomi di vite prive di qualsiasi rilevanza, che arrancano sopra luride fognature nelle quali scorre già il seme della follia.

Afferro la bottiglia con più forza. Il sacchetto di carta che la riveste emette un suono rassicurante tra le mie dita. Mentre bevo guardo il corpo di un uomo che si avvelena lentamente. Fin dove riusciranno a trascinarmi queste povere membra? Sono loro che fanno il lavoro sporco. È vero, c’è ancora quel fuoco che arde, il motore di questa macchina di morte, il pretesto per non abbandonarsi completamente al delirio. Ecco cosa ne è stato di Randy Coleman. La trasformazione è ormai completa. Una creatura di carne con un fucile a canne mozze come appendice, estensione del suo corpo, organo vitale fatto di ferro e fuoco. Un intento irrazionale, forse più folle delle follie che camminano nell’oscurità, lo muove come un angelo vendicatore. Vorrebbe farla finita ma non può. Qualcosa lo trattiene. C’è ancora molto lavoro da fare…

La bottiglia è quasi a fine. L’oscurità è ormai padrona. No, non accenderò la luce sulla scrivania. Lascerò spengere gli ultimi suoni del giorno, immaginandomi la gente che torna alle proprie case, moglie, figli, progetti, fede… Nessuna differenza tra loro ed i piccoli insetti che infestano le cantine e le soffitte. Ragni, termiti, blatte…
Vieni oscurità. Vienimi a prendere. Fammi dormire, ti prego. Almeno stanotte, fammi dormire…

Jonathan Macini

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