L’orologio sulla parete segna le nove e ventisette. Non è possibile, mi dico. Non può essere. Devono essere passati almeno dieci minuti dall’ultima volta che ho alzato la testa. Le batterie, certo…
Guardo il display del cellulare. Le nove e venticinque. Strano. Ma almeno di quello mi posso fidare. Mi rimetto a leggere la storia. Una strana storia. La storia di un orologio da parete rotto e di una ragazza che legge una storia.
Guardo nuovamente il display. Le nove e venticinque. Non può essere, e mi scappa un gemito. Sono pazza, mi dico. Lasciamo fare… continuiamo a leggere.
La storia va avanti. La ragazza legge ma il tempo sembra essersi fermato. È proprio una strana storia.
Poso il libro sul tavolo. La sala d’aspetto è vuota. Ci sono solo io. Il dottore è occupato e mi sembrano ore ormai. Ma il cellulare segna ancora le nove e venticinque.
Mi alzo dalla sedia, una sedia di formica scomodissima. Passeggio per la stanza, una stanza piccola e squallida. Le pareti sono spoglie. C’è solo quell’orologio che per di più è rotto.
Ascolto i tacchi delle mie scarpe rintoccare. Tic, tac, tic, tac. Forse stanno aiutando i secondi a scorrere. Forse li stanno convincendo a tornare a fare il loro lavoro. Tic, tac, tic, tac. Forza, su. Muovetevi!
Il display segna ancora le nove e venticinque. Sono pazza…
Mi avvicino alla porta dello studio. Insieme al dottore deve esserci qualcuno ma non odo alcuna voce. Potrei bussare, ma decido di aspettare ancora un po’. Un paio di minuti… già, ma se non scorrono che cosa aspetto?
Potrei andarmene. Imboccare il corridoio per il quale sono arrivata, prendere l’ascensore e tornare in strada, dove il tempo di sicuro scorre normalmente. Ma ho bisogno di quelle ricette. Non posso andarmene senza.
Spengo il cellulare e lo riaccendo. Forse è colpa di un contatto. Quando si accende emette un ridicolo gingle, poi s’illumina come una albero di natale. Le nove e venticinque. Vacca boia!
Basta. Mi dirigo verso la porta e busso. Non succede niente. A questo punto mi prende il panico. Ecco, lo sento arrivare, è uno di quegli attacchi, i soliti maledetti attacchi. Devo aprire la porta, devo avere quelle ricette…
La porta si apre.
«Buongiorno signora Lastelle. È tanto che aspetta?»
Aeribella Lastelle - 2008
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